di Alessandra Testa
L’editrice Settenove la riporta in libreria a 40 anni dalla sua prima uscita in Francia. E la lotta agli stereotipi finisce in finale al premio Andersen
Stai dritta con le spalle.
Siediti composta.
Non mangiarti le unghie.
Togliti i capelli da davanti agli occhi.
Se anche voi, come me, avete alle spalle un passato da bimba maschiaccio (che vuol dire poi?) e una nonna che vi mostrava, così en passant, l’Enciclopedia della fanciulla (un gioiello d’altri tempi, a dir la verità) beh questo libro lo adorerete.
Storia di Giulia che aveva un’ombra da bambino è uno degli ultimi titoli della casa editrice Settenove che imperterrita continua a scegliere di ribaltare quelle consuetudini che, in pieno terzo millennio, ancora portano ad educare i più piccoli secondo la dicotomia cromatica del rosa e dell’azzurro e a tollerare l’idea che qualcuno scuota il capo («oh signur!») davanti alla scena di un cucciolo di umano maschio che spinge una bambola sul passeggino.
Di Christian Bruel e Anne Bozellec, Storia di Giulia che aveva un’ombra da bambino (traduz. di Maria Chiara Rioli), invece, fa molto di più che de-costruire gli schemi.
Storia di Giulia che aveva un’ombra da bambino chiama per nome la paura, la vergogna, la ribellione e – a prova di ipocriti e schizzinosi – le prime scoperte sessuali che, ad una certa età, hanno il sapore incerto del proibito e che niente meglio di una bambina con l’ombra di sesso opposto poteva rappresentare.
Ecco allora che questo controverso albo illustrato – che senza nemmeno scomodarla fa sembrare la teoria del gender ancor più ridicola di quel che è – è finito dritto dritto al premio Andersen 2016 dove era in lizza per il riconoscimento “Miglior libro mai premiato” attribuito poi al sorprendente Una strana creatura nel mio armadio di Mercer Meyer (Kalandraka).
Ma tant’è, la vetrina vale molto di più di una medaglia e Giulia-brighella non è certo passata inosservata. Del resto, la storia di questo testo, rispolverato dopo quarant’anni, parla da sé. Statela ad ascoltare.
Storia di Giulia che aveva un’ombra da bambino: ieri e oggi
Histoire de Julie qui avait une ombre de garçon – questo il titolo originale – fu mandato in stampa nel 1975 dalla IM MEDIA. Era un’auto-produzione e nessuno si aspettava di venderne 5mila copie in meno di un anno. A Parigi si rimboccarono le maniche e nel 1976 crearono una nuova casa editrice. Si chiamava Le Sourire chi mord e decise di tirare molte più copie. Poi, come capita ad ogni opera degna di nota, è passata di mano in mano fino all’ultima edizione, in epoca più contemporanea, con Être éditions nel 2009.
La prima volta in Italia fu, invece, nel 1978. Ci pensarono le milanesi Edizioni dalla parte delle bambine. Con alle spalle il fermento del Sessantotto e dei movimenti femministi degli anni Settanta, erano anni in cui il dibattito sui diritti delle donne e dell’infanzia era estremamente vivo, tanto da farci rabbrividire se costretti a paragonarlo a quello che oggi monta, complici gli amati-odiati social, ogni qual volta si verifica un femminicidio.
Il 2015, però, era il quarantesimo anniversario della prima pubblicazione e valeva la pena rischiare. A rieditare le avventure di Giulia non poteva che essere l’editrice marchigiana che del superamento degli stereotipi ha scelto di fare il suo manifesto.
Voler essere come si è, però, non è solo una questione di genere. Voler essere come si è PUNTO, è oggi più che mai una scelta coraggiosa. E non lo è solo se in ballo ci sono le identità sessuali. Lo è tout court. Semplicemente se in ballo ci sono le identità. Le identità PUNTO. Perché nascondersi dietro un’etichetta, a volte, può risultare più comodo delle spiegazioni che si è obbligati a dare a chi, senza sforzarsi di capire, crede di essere dalla parte giusta.
Come capita spesso a noi genitori che convinti di operare a fin di bene ce ne usciamo con frasi come quelle pronunciate dalla mamma di Giulia quando, entrando nella sua cameretta, la sorprende distesa sul letto a leggere coi pattini a rotelle ancora ai piedi.
Dimmi, tesoro mio, sei sicura di aver bisogno
dei tuoi pattini per leggere? Non puoi davvero far nulla
come tutti gli altri?
La risposta di Giulia, che ad occhio e croce avrà otto anni, non può che essere lapalissiana.
Io non sono come tutti gli altri, mamma.
Io sono Giulia!
Giulia vorrebbe essere abbracciata così com’è.
A lei che danno del maschio mancato, anche se maschio non vuole essere e non ci si sente, e che nonostante questa sua certezza si trova a dover litigare con la sua ombra – che più allineata dei cliché – le danza attorno con le sembianze di un bambino.
Solo perché non è gentile, come se la gentilezza non potesse essere prerogativa maschile. Solo perché non ama il pettine e sfugge alle docce, ah già l’omo per essere omo ha da puzzà.
Solo perché dice le parolacce, allora è un maschio mancato anche chi scrive e la metà delle donne di cui si fida.
Giulia sa ciò che vuole
e ne parla al suo gatto
insieme fanno le capriole
e i suoi genitori danno di matto.
Genitori che danno di matto. Anche in questo albo, dalla grafica e dai colori che odorano di altri tempi, ricorre il topos letterario del genitore lontano, distante, antagonista, incapace di provare empatia per le inclinazioni dei propri figli.
E non si tratta dell’escamotage spesso usato dagli autori della letteratura dell’infanzia per sottolineare, e allo stesso tempo stimolare, l’indipendenza del bambino, sia esso il protagonista del racconto sia esso il suo destinatario. Qui a emergere è una vera e propria critica socio-pedagogico-culturale e Settenove lo dichiara da sempre: la sua è una netta presa di posizione contro una società ancora sovraccarica di stereotipi maschilisti attraverso un percorso interamente dedicato alla prevenzione della discriminazione e della violenza di genere. Proponendo storie e, soprattutto, un linguaggio capace di agire su quegli ostacoli che, anche inconsapevolmente, legittimano la violenza e dando voce a modelli positivi di collaborazione e rispetto fra uomini e donne contribuendo così alla creazione di quella educazione sentimentale di cui finalmente si comincia a parlare anche nelle sedi istituzionali.
Maschio mancato,
maschio mancato,
maschio mancato,
maschio mancato!
Ad affliggere Giulia con questo ritornello non sono solo i suoi genitori.
A tormentarla è anche quella stupida ombra da bimbo che nessuno vede tranne lei.
Vattene!
Spaventi il mio gatto.
E un maschio non è fatto come te.
Avanti, lasciami tranquilla, io non sono come te.
Io sono una bambina!
Giulia ci prova a sbarazzarsene, di quell’ombra da maschio.
Ci prova con tutte le sue forze.
La prende a calci, la pesta, prova ad affogarla nelle pozzanghere.
Ma niente da fare.
Addirittura se si siede a far pipì, quel mascalzone nero che le si forma sotto la fa in piedi.
Le si vuole bene quando non è spettinata come Giulia.
Le si vuole bene quando si siede più composta di Giulia.
Le si vuole bene quando lei parla meno di Giulia.
Giulia si sente triste e sola. Non sa più chi è, ma ribellarsi all’idea secondo cui per essere amata dovrebbe trasformarsi in un’altra è dolorosamente contro la sua natura.
Infine il dubbio. E quel pruriginoso tabù che accompagna la scoperta della sessualità e che, è vero, si sperimenta sempre da soli, senza parlarne con mamma e papà, ma che questo rivoluzionario albo illustrato(picture book): un libro che usa parole, immagini e grafica per raccontare una storia. Non è semplicemente un libro che sbatteva in pagina già quarant’anni fa.
Lei non può essere che un maschio… mancato, per giunta,
con quella fessura tra le cosce che ama accarezzare dolcemente.
Non resta che scappare. Scappare lontano.
Nel parco sotto casa.
Tanto anche lì, chi non sa guardare, non ti sa nemmeno cercare. E trovare.
La rivoluzione altrimenti che rivoluzione sarebbe, però, cerca sempre il lieto fine.
E, come succede nelle favoleracconto breve di tipo fantastico la cui origine risale all’autore greco Esopo (VI sec. a.C.), che descrive in maniera pungente più amate, anche a Giulia capita qualcosa che cambia tutto.
E lo chiarisce, quel tutto.
Succede così che, proprio poco lontano dalla statua che ricorda Charles Perrault – il padre di Cappuccetto rosso, ancora lei, e di tante fiabeuna forma antichissima di narrazione che ha origine da racconti orali che nascevano da esperienze popolari e da avvenimenti considerati che bacchettano anche crudelmente i genitori – Giulia incontra il suo alter ego.
Il bambino che tutti chiamano femminuccia.
E qui più che mai emerge il poco rosso che contrassegna questo albo in bianco e nero.
La pala con cui Giulia vuol scavare una buca in cui nascondersi, perché sotto terra l’ombra non si vede.
I lacci delle scarpe del ragazzino, tutti dicono che ho un cervello da bambina, che vuol piangere in pace, senza essere canzonato.
Il cerotto sulle ginocchia sempre sbucciate di Giulia.
E quella foglia che si porta via il vento. Il vento del cambiamento.
Un dialogo da manuale
Il dialogo fra i due coetanei che si raccontano da cosa scappano è da manuale, di quelli di cui si dovrebbero dotare tutte le scuole di ordine e grado.
Sai, tutti dicono che io sono un maschio mancato.
La gente dice che le femmine devono comportarsi da femmine,
i maschi da maschi. Non si ha il diritto di fare una mossa sbagliata.
È come se ognuno dovesse stare nel suo vaso.
Come i cetriolini?
Sì, come i cetriolini.
I cetriofemmine dentro un vaso, i cetriomaschi dentro un altro,
e i maschifemmine? Non si sa dove metterli.
Io credo che possiamo essere femmina e maschio,
entrambi alla volta se si vuole.
Al diavolo le etichette. Abbiamo il diritto!
Tu credi?
Certo che abbiamo il diritto.
I due nuovi amici si addormentano.
Passano la notte, sotto le stelle, abbracciati.
Ma poi, saggiamente, molto più degli adulti, si salutano e decidono di tornare a casa.
Cosa racconteranno poco importa.
Giulia-monella
Giulia-brighella
Giulia-Giulia.
Adesso, Giulia lo sa. «Abbiamo il diritto» e tutto può succedere.
Oggi, domani, non importa. Accadrà.
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